Basta digitare su internet “profezia” + “papa” per capire in tre secondi il successo di una infestante vulgata dalle numerose sfaccettature. Secoli di invenzioni, interpolazioni, post-datazioni, false attribuzioni e re-interpretazioni hanno consolidato e trasmesso la profezia più complessa, diffusa e resistente sull’“ultimo papa”, per la quale, a differenza di altre più recenti ed evanescenti, abbiamo delle fonti scritte da (ri)leggere e interpretare.
Nell’anno 1595 il monaco Arnoldo Wion, inseriva all’interno di un’opera intitolata Lignum Vitae ornamentum et decus Ecclesiae, il testo di una profezia sui sommi pontefici fino ad allora ignota. Senza fornire nessuna indicazione sulle fonti del testo, si limitava ad attribuirla a Malachia, vescovo benedettino di Armagh aggiungendo che, data la sua brevità e il fatto che non fosse ancora stata stampata, la riproduceva per appagare il desiderio di parecchi; si trattava di un elenco cronologico di papi, a partire da Celestino II (1143-1144), ciascuno accompagnato da un motto di riferimento. La profezia descriverebbe ciascuno dei 111 (o 112, se si include anche il testo conclusivo, che però non è un motto) futuri pontefici.
Non tutti i motti hanno la stessa precisione: quelli riferiti ai papi sino alla fine del XVI secolo sono molto accurati, con allusioni dirette al loro stemma, al loro cognome, alla loro attività, mentre i successivi sono molto più vaghi ed approssimativi. Coincidenze rarissime e stiracchiate, insomma.
A chi si deve, in questa forma, tale scritto? Quasi sicuramente non a Malachia, poiché vi sono chiari indizi sulla sua falsa attribuzione, primo fra tutti il fatto che Bernardo di Chiaravalle, amico e biografo di Malachia, non citò mai in alcuna sua opera questo testo. La prova maggiore della sua falsità è che nella lista sono presenti tutti i papi del periodo precedente al XVI secolo, ma solo due antipapi su otto, come nell’elenco preparato dallo storico Onofrio Panvinio, contemporaneo di Wion; la presenza di indicazioni biografiche erronee fornite dallo stesso Panvinio fa presumere una dipendenza del testo profetico da quello di un autore del XVI secolo.
L’autenticità della profezia di Malachia, di cui non esiste il manoscritto originale ma solo il testo a stampa di Wion, fu messa d’altronde in dubbio già nel XVII secolo nella confutazione scritta nel 1689 dal gesuita Claude-François Ménestrier.
Che il nesso tra i motti e le figure papali sia vago e facilmente ricavabile ex-post, è piuttosto chiaro: ad esempio, Pastor et nauta è Giovanni XXIII, Flos Florum, Paolo VI, mentre a papa Benedetto XVI corrisponde il motto Gloria olivae, variamente interpretato –prima e dopo- come un papa italiano (terra delle olive), un papa non italiano (di carnagione olivastra), un papa che si adopera per la pace (l’ulivo è simbolo di pace), o ancora Benedetto o dei benedettini perché sono chiamati “olivetani”.
Dopo il motto Gloria olivae l’elenco si conclude con un breve testo: « Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà il Pietro romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta ed il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.
Il testo non suggerisce in alcun modo che tale pontificato sia immediatamente consecutivo all’ultimo papa della lista, non contiene alcuna nuova profezia ed è un riferimento al fatto che la sequenza dei papi dovrà prima o poi a concludersi. Lo stesso nome, “Pietro romano”, potrebbe solo riferirsi genericamente al papa. Gli eventi descritti sono gli stessi segnalati nell’Apocalisse, in cui la distruzione di Babilonia una città appunto costruita su sette colli (Ap. 17,9) precede il giudizio universale.
Ma non è tutto. Di recente S.M. Olaf, autore del romanzo La vigilia dell’eternità, (Fazi Editore 2001; riedito nel 2005 con il titolo La profezia dell’ultimo Papa), scrive che nella trascrizione delle profezie sarebbe andato perduto un motto, “Caput nigrum”, in ultima o penultima posizione, a indicare un papa nero, lo stemma di papa Ratzinger, un papa giovane: si aggiunge così un elemento iper-contemporaneo quanto di successo, che l’autore lega a tre medaglioni vuoti nella basilica romana di San Paolo Fuori le Mura, dove, lungo i cornicioni, sono riprodotte le immagini di tutti i Pontefici; peccato che a una verifica effettuata in questi giorni ci risultino ventisette spazi vuoti e non due che farebbero presagire una fine della catena di successione papale. Si resta nel campo dell’ambiguità e dell’imprecisione, non della storia che è storia del passato e del presente e mai può esserlo del futuro.
Fonte: Vatican Insider
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