Ha sconcertato molto il popolo dei social cattolici la lettera che Benedetto XVI ha inviato a mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, in ringraziamento per l’omaggio della collana “La Teologia di Papa Francesco”, undici libri scritti da altrettanti teologi sul magistero dell’attuale pontefice. Lo stupore ha riguardato innanzitutto lo stile diretto e un po’ crudo, inusuale per il papa emerito, tanto da far pensare che il contenuto originale della missiva fosse stato rappresentato in modo diverso da come era stato scritto.
E invece l’immagine pubblicata da Radio vaticana e poi ripresa da altri siti riportava esattamente l’aggettivo “stolto” che Benedetto ha scelto per definire il pregiudizio nei confronti della cultura teologica di papa Bergoglio.
Infatti scopo dell’opera è quello di illustrare teologicamente “il messaggio di Francesco, la sua capacità di leggere le esigenze dei tempi in continuità con i papati precedenti e con le grandi intuizioni del Concilio Vaticano II”, realizzando “una nuova forma di misticismo: la mistica degli occhi aperti sull’angoscia del prossimo”. (Radio vaticana).
Nella lettera Benedetto contesta l’opinione diffusa tra i fedeli “per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi.”
Quest’affermazione però contrasta con quanto egli stesso affermò nel libro-intervista “Ultime conversazioni” (2016) scritto dal suo biografo Peter Seewald, in cui il suo giudizio sulla diversità dei due pontificati fu questo: “Il governo pratico non è il mio forte e questa è certo una debolezza. Ma non riesco a vedermi come un fallito. Francesco è l’uomo della riforma pratica e ha anche l’animo per mettere mano ad azioni di carattere organizzativo.”
Strano cambiamento di opinione in soli due anni, possibile che abbia dimenticato le precedenti affermazioni?
Ma, a parte questa stranezza, il suo apprezzamento nei confronti di papa Francesco è assolutamente coerente nella lettera a Mons. Viganò come nell’intervista a Peter Seewald in cui si dichiara “felice” del suo successore, la cui elezione è stata il segno di una “Chiesa viva”.
L’ipotesi che egli sia stato “costretto” ad esprimersi con parole di elogio verso papa Francesco viene a cadere sapendo che nessuno lo ha obbligato a rilasciare quell’intervista, da lui letta preventivamente ed autorizzata alla pubblicazione.
Così come appare inverosimile che la sua rinuncia sia stata dovuta a cause diverse da quella da lui enunciata, cioè l’ingravescente aetate, il peso degli anni, perché lui stesso lo ha escluso: “Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte. Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non l’avrei nemmeno permesso. Se avessero provato a farlo non me ne sarei andato perché non bisogna lasciare quando si è sotto pressione. E non è nemmeno vero che ero deluso o cose simili. Anzi – continua – grazie a Dio ero nello stato d’animo pacifico di chi ha superato la difficoltà. Lo stato d’animo in cui si può passare tranquillamente il timone a chi viene dopo.”
Per smentirlo in base a ipotesi complottiste dovremmo dargli del simulatore, ma la statura etica dell’uomo non lo consente e d’altronde, si ribadisce, nessuno gli ha estorto un’intervista a tutto campo dopo la sua messa a riposo.
Restano aperti gli interrogativi di merito sulla sua rinuncia, se vogliamo credere alle sue motivazioni, e non possiamo fare altrimenti trattandosi di un pontefice.
Certo è che la Chiesa oggi appare sempre più distaccata dal comune sentire dei credenti e la sua millenaria dottrina sembra traballare sotto i colpi di “aperture ed uscite” che appaiono più delle fughe dalla Verità che delle rincorse per la salvezza delle anime.
Lo stesso Vangelo è reinterpretato alla luce della “creatività” di uno Spirito Santo” che si fa fatica a conciliare con lo stesso Spirito che ha ispirato quello stesso Vangelo.
Per concludere, si deve prendere atto che per la prima volta nella storia della Chiesa abbiamo due papi, che vanno accettati uno come legittimamente in carica e l’altro come legittimamente deposto, i quali, per quanto appare, sono perfettamente allineati e concordi nella stima reciproca e negli intenti. Ma è fin troppa grazia, a noi ne era sufficiente uno solo, in comunione spirituale con Dio e con il Suo popolo.
Paola de Lillo